- I precursori
L’idea di imporre il pagamento del servizio postale a carico del mittente infatti era già stata espressa, concettualmente, dai cosiddetti AQ veneziani, introdotti nel 1608, e dai Cavallini , in uso negli stati sardi nel 1819-1820. Entrambi i documenti attestavano il pagamento anticipato che autorizzava l’accesso a una prestazione: l’inoltro della corrispondenza fra uffici amministrativi veneziani, gli AQ; il recapito postale, i Cavallini. Anche nell’aspetto i primi francobolli del mondo si ispirarono a qualcosa di preesistente: dai primi anni del Settecento in Gran Bretagna e negli Stati Uniti circolavano marche fiscali – etichette di carta colorata, alcune con impressione a rilievo – che provavano il pagamento anticipato di una tassa, solitamente per giornali, alcolici, spezie e sostanze farmaceutiche.
- Il progetto
La rivoluzione postale che portò alla nascita del primo francobollo del mondo non nacque dal nulla. Rowland Hill elaborò e rielaborò lungamente i dettagli del progetto. Nel 1837 pubblicò una bozza della riforma nello studio Post Office Reform: its Importance and Practicability (‘importanza e fattibilità’) e, dopo averla ulteriormente rimaneggiata, la sintetizzò l’anno successivo nel bollettino The Post Circular. Il concetto era facile: pagare meno, pagare tutti. Chi spediva doveva pagare, e in anticipo, una tassa uniforme che eliminasse gli importi troppo elevati. Una tariffa accessibile, come un penny, avrebbe favorito l’uso della posta, con conseguente incremento delle entrate e dei commerci, soprattutto se fosse stata accompagnata dall’abolizione degli anacronistici privilegi postali di cui ancora molti godevano. Nelle intenzioni di Hill il pagamento sarebbe stato segnalato da «un pezzo di carta sufficientemente grande da accogliere una stampa e coperto al retro da una soluzione glutinosa».
- L'antagonista
Secondo la testimonianza del figlio di James Chalmers, già nel 1834 – ben prima che Hill tirasse fuori il progetto di un francobollo adesivo – suo padre ne aveva già prodotto un saggio. Quell’esperimento rispuntò dal cassetto quando Chalmers ebbe letto il progetto di riforma postale pubblicata dal Post Circular : l’8 febbraio 1838 il libraio scozzese sottopose a Hill il campione di una marca postale che, di fatto, anticipava di due anni quello che sarebbe poi stato il francobollo. Hill respinse la proposta. Quando però il francobollo fu emesso, Chalmers reclamò il riconoscimento del suo ruolo e il premio di 20 mila sterline che la corona inglese aveva invece destinato a Hill (oltre a una pensione annuale di 2mila sterline). Ci furono strascichi giudiziari, che ebbero anche gustosi risvolti fumettistici: fra le vignette che circolarono all’epoca, una cartolina mostrava i due contendenti impegnati nella lotta per il riconoscimento della paternità del francobollo.
- Il concorso
Per il bozzetto del francobollo, il 23 agosto 1839 fu bandita la Treasury Competition, un concorso aperto a tutti i britannici che chiedeva progetti «riguardanti il modo in cui il francobollo poteva essere messo in uso nel migliore dei modi». Arrivarono oltre 2.600 suggerimenti, alcuni dei quali piuttosto stravaganti (pizzi, colori sgargianti…), ma nessuno piacque al difficile Rowland Hill.
- No sketch no penny
Senza il bozzetto disegnato di propria mano da Rowland Hill, la filatelia avrebbe seguito un altro corso. Il primo francobollo del mondo avrebbe potuto essere di pizzo, oppure verde, arancione, con la rappresentazione della corona imperiale, oppure con disegni geometrici, o con semplici indicazioni numerali. Invece Hill lo volle proprio come effettivamente uscì. Perché, dopo aver esaminato le proposte fra quelle candidate alla Treasury Competition e averle scartate tutte, lo disegnò di sua mano. Nel solco della tradizione iconografica dell’epoca scelse di inquadrare al centro il profilo della regina, ponendo in alto l’indicazione Postage, in basso One Penny, e negli angoli le rosette e i riquadri con la progressione alfabetica.
- E francobollo fu
La distribuzione agli uffici dei francobolli finalmente pronti – il Penny nero e il Two Pence azzurro – iniziò il 1° maggio 1840, con l’avvertenza che potevano essere usati soltanto dal giorno 6. Rowland Hill seguì con comprensibile partecipazione l’avvio della nuova era, come si può seguire dalle pagine del suo diario: «l° maggio. Mi sono alzato alle 8. Francobolli a disposizione del pubblico oggi (a Londra) per la prima volta. Molto movimento all’ufficio postale. 2 maggio. Alzato alle 7,45. Ieri venduti francobolli per un valore di 2.500 sterline. 6 maggio. Alzato alle 7,45. I francobolli sono entrati in uso oggi. Cole si è recato alla posta centrale e ha appreso che metà delle lettere erano affrancate».
- I primi Penny
Negli uffici postali il Penny Black si presentò in fogli di 240 esemplari, allineati verticalmente e orizzontalmente secondo un rigoroso ordine alfabetico, da A A (primo della prima fila, in alto, a sinistra) a T L (ultimo della fila, in basso, a destra). L’indicazione, ripetuta sui quattro bordi del foglio del Penny Black, aiutava gli impiegati degli uffici postali e i clienti nell’utilizzo della nuova invenzione. Veniva indicato in un penny il valore di ogni esemplare – non ancora denominato stamp, ‘francobollo’, ma label, ‘etichetta’ – uno scellino per la fila di dodici, una sterlina per l’intero foglio. La didascalia spiegava anche dove apporre il rettangolo di carta, il cui utilizzo, nei primi mesi dopo il 6 maggio, doveva essere ai più arcano: ‘posizionare le etichette sopra l’indirizzo e verso il lato destro della lettera’. Infine ancora un’avvertenza: ‘Nell’inumidire il retro, prestare attenzione a non rimuovere la gommatura’. Le medesime avvertenze accompagnavano anche i fogli del Two Pence, del Red Penny e del Victoria Regina.
- Il primo Penny Black in Italia
Chissà che stupore suscitò nella dimora romana del barone Dufferin Claneboye la consegna, nei primi mesi del 1841, della prima lettera affrancata con un francobollo. Si trattava – superfluo precisarlo – di un Penny Black, e la busta proveniva dall’Irlanda dopo un viaggio a dir poco avventuroso: da Belfast andò a Ballyleady, da dove fu inoltrata a Hollywood e poi a Bangor, prima di giungere finalmente a Roma. Forse lo stupore contagiò più gli inservienti che il barone, il quale era “pari di Irlanda” e, viaggiatore assiduo, doveva aver già avuto un incontro con la rivoluzionaria invenzione postale.